lunedì 3 ottobre 2016

HAPPY ROSH ASHANA 2016

LA FESTA DI ROSH HA SHANA

Il Signore parlò a Moshé dicendogli così: Parla ai figli di Israele dicendo loro così: Nel settimo mese, il primo del mese, avrete un giorno di astensione dal lavoro, in ricordo del suono (dello Shofàr), non eseguirete nessun lavoro e presenterete un sacrificio da ardersi sul fuoco in onore del Signore (Vayikrà 23,25). Rosh Hashanà tocca il cuore di ogni ebreo; è un giorno solenne in cui intensifichiamo e riaffermiamo la nostra relazione con Dio, che ci giudica per le azioni commesse durante l'anno passato. Molti cibi ed usanze si collegano a questa festività: si mangia il melograno, come simbolo di speranza che i nostri meriti si moltiplichino e diventino numerosi come i grani di questo frutto. Fichi, datteri e kiwi sono sul tavolo accanto alla challà. Intingiamo il pane e la mela nel miele, prepariamo e gustiamo torte e panini al miele, per ribadire il nostro auspicio di trascorrere un anno pieno di dolcezza. Ovviamente, anche andare al tempio, indossare abiti festivi e consumare un pasto abbondante sono riti di questo particolare periodo, formato dal "Capo d'Anno Ebraico" e dai dieci Yamìm Noraìm, giorni solenni. Rosh Hashanà significa appunto "Capo dell'Anno": come la testa contiene il cervello, che controlla tutto il nostro corpo, così Rosh Hashanà racchiude il potenziale per ricevere da Dio un anno pieno di prosperità e benedizioni. Infatti, le azioni compiute a Rosh Hashanà si ripercuoteranno su tutto l'anno entrante: per questo motivo si è particolarmente attenti a tutto ciò che si dice, si fa o si pensa in questi due giorni. Quando l'ebreo afferma la Regalità Divina è sicuro che le sue preghiere per un anno buono e dolce saranno accolte. Come Adamo, che ha proclamato il Signore Re dell'Universo e ha ordinato alle creature di adorarLo, così noi, a Rosh Hashanà, ribadiamo la volontà di vivere secondo la Sua Regale Volontà. In cambio Dio concederà un anno "buono e dolce". Le speranze sono espresse nell'augurio: "Leshanà tovà tikatèv v'techatèm" "Che tu possa essere scritto e sigillato per un anno buono". La luce di questo periodo ci sosterrà per tutti i mesi a venire. Rosh Hashanà è l'unica festività che duri due giorni sia in Israele che nella diaspora: le candele vanno accese tutte e due le sere, recitando le appropriate benedizioni, inclusa la benedizione di shehekhianù (ringraziando Dio per essere arrivati a questo momento nuovo). Questo perché Rosh Hashanà è considerato un unico, lungo giorno. Shehekhianù può anche essere riferito ai vestiti nuovi indossati per l'occasione o ai cibi particolari preparati apposta. Le preghiere si differenziano notevolmente da quelle degli altri giorni festivi: la `Amidà contiene alcune aggiunte; la preghiera di mussàf consiste di nove benedizioni. Le preghiere di Shakharìt e Minchà si chiudono con una serie di brevi implorazioni. Questa festa, che introduce un periodo di penitenza, è a sua volta preceduta da un mese (o da alcuni giorni) in cui si recitano le speciali preghiere delle Selichòt, nelle quali si implora il perdono divino. Queste possono essere recitate prima dell'alba, di mattina, di pomeriggio o di sera a seconda della consuetudine. Lo shofàr, il "corno d'ariete", è lo strumento a fiato più antico e primitivo del mondo. Il suo suono ha parecchi significati: simboleggia l'incoronazione di Dio come Re dell'Universo, risveglia gli ebrei alla penitenza e preannuncia il suono della redenzione, quando gli ebrei sparsi in tutto il mondo si raduneranno in Israele. Altri avvenimenti associati a questo strumento sono: la Torà che Dio ha dato sul Monte Sinai e il Sacrificio di Isacco sul Monte Morià. Per gli uomini è obbligatorio ascoltare lo shofàr, mentre per le donne è facoltativo. I bambini ne sentono suono per fini educativi. Lo shofàr si suona tutti e due i giorni, eccetto di Shabbàt. Per gentile concessione della Mamash Edizioni Ebraiche. Per ordinare il libro Lekhaim, Guida alle festività e ricorrenze ebraiche clicca qui. © Copyright, tutti i diritti riservati. Se ti è piaciuto questo articolo ti incoraggiamo a condividerlo con altri, attendendosi alle regole di copyrightdi it.Chabad.org.

FELICE CADOPANNO ROSH HA SHANA A TUTTI GLI EBREI ITALIANI

Rosh ha-shanah 5777 (3-4 ottobre 2016)

La festività di Rosh ha-shanah o capo d'anno ebraico per l'anno ebraico 5777 (2016-2017) verrà celebrata i 3 e 4 ottobre 2016 (1° e 2° giorno), vigilia il 2 ottobre. Alle origini della ricorrenza Rosh ha-shanah è la festività che celebra il capodanno ebraico. E’ chiamata anche Yom teru’ah, “giorno del suono”, Yom ha-din, “giorno del giudizio” e Yom ha-zikkaron, “giorno del ricordo”. La ricorrenza non è legata ad alcun fatto storico relativo al popolo d’Israele, ma vuol ricordare la creazione del mondo; è, in altre parole, il giorno del “compleanno” della Terra. Una data quindi di importanza universale in quanto, riallacciandosi al giorno in cui furono creati il primo uomo e la prima donna, mette in luce che l’intera umanità, discendente tutta dalla prima coppia, gode di pari diritti e dignità in quanto ogni uomo è figlio di Dio. Nella Torah, non è usato il termine Rosh ha-shanah, bensì quello di Yom teru’ah, “giorno del suono” (dello shofar): nella sinagoga, infatti, il giorno di Rosh ha-shanah lo shofar viene ripetutamente suonato perché, secondo una tradizione, l’ultimo giorno della creazione Dio manifestò la sua gioia e la sua vicinanza all’uomo creato “a immagine divina”, proprio con il suono dello shofar. In questa prospettiva, il giorno di Capodanno e il periodo immediatamente seguente (periodo, in cui, secondo l’ebraismo, Dio giudica ogni singolo individuo a qualunque popolo appartenga) diviene avvenimento che coinvolge i membri dell’intera umanità. Ma è anche un giorno che riguarda personalmente ogni individuo perché ognuno di noi ha una personalità a sé stante, con i propri problemi personali, familiari, di lavoro e di salute: problemi che lo spingono a levare gli occhi verso Dio per chiedergli aiuto e conforto, per trovare in lui la forza di continuare, di migliorare, di scegliere la giusta strada. Il suono dello shofar che echeggia in questo mondo così tecnologicamente avanzato, ma in cui purtroppo l’odio e l’aggressività sono tutt’altro che scomparsi, in cui gli Stati continuano a intraprendere guerre, e ognuno cerca il proprio profitto chiudendosi in piccoli egoismi, ha espressamente lo scopo di richiamare l’attenzione di ognuno di noi su alcune domande fondamentali: “Chi sei? Perché? Che cosa stai facendo della tua vita?”. Per questa ragione il Capodanno ebraico è avvolto da un’atmosfera di santità, di gioia serena, di rinnovamento e di rafforzamento dei legami che uniscono gli uomini a Dio. E’ il giorno in cui l’uomo comincia a fare un esame di coscienza per giudicare se stesso, il proprio comportamento durante l’anno trascorso, gli errori commessi, le tentazioni alle quali non ha resistito. E in base a tale giudizio, prende l’impegno di cambiare, di rafforzare le giuste decisioni, di eliminare gli errori per quanto gli sarà possibile. L’errore è infatti una componente umana; le difficoltà che la vita ci prospetta ogni giorno, ci pongono dinanzi a continue scelte, a inevitabili dubbi, a insistenti tentazioni: la santità perfetta è qualità che solo Dio possiede. Ma l’uomo è perfettibile: ed è questo che si propone ogni ebreo nel solenne giorno in cui ha iniziato un nuovo anno, in cui ogni essere umano può compiere una svolta decisiva ed iniziare un nuovo percorso. Senza eccedere né nell’auto-compassione, né nell’autocondanna che raramente raggiungono risultati positivi, ognuno può imporre a se stesso, con la propria forza di volontà, di uscire dal tunnel oscuro del peccato, nella sicurezza che Dio misericordioso è sempre pronto a tendere una mano agli uomini disposti ad affrontare, animati da nuova speranza e da trepida gioia, il prossimo futuro: perché “le porte del perdono sono sempre aperte” e “dal cielo porgono una mano a chi viene a purificarsi”. Ma, come si diceva, il giorno di Rosh ha-shanah è il giorno in cui anche Dio prende in esame e giudica il comportamento di ogni uomo, le sue opere, i suoi pensieri, i suoi rapporti con il prossimo, il suo pentimento, per decidere del suo destino nell’anno a venire: decisione che assumerà il suo carattere definitivo il giorno di Kippur, sulla base del pentimento dimostrato e dell’impegno assunto durante i giorni penitenziali. Ma non per paura del castigo, bensì per amore verso Dio, verso la sua opera, verso le sue creature, ci si può avvicinare all’ideale propugnato dall’ebraismo sin dalle sue premesse: riportare sulla terra l’era della pace, meritando così il ritorno alla perfetta pace del Gan Eden! Rosh ha-shanah è anche la festa della speranza. (1) Lo shofar Si tratta di un corno d’animale (normalmente di capro, a memoria dell’animale sacrificato da Abramo al posto di Isacco) adibito a strumento musicale, che ha la sua parte in molti momenti di riti, soprattutto a Rosh ha-shanah e a Kippur. (2) Il suono dello shofar è un suono ricorrente in tutta la storia ebraica e rappresenta la speranza e la fiducia. Al suono dello shofar, che echeggiava solennemente sul monte Sinai, furono consegnati a Mosè il Decalogo e la Torah. Quando Mosè salì la seconda volta sul monte Sinai per ricevere nuovamente le tavole che aveva spezzato alla vista del vitello d’oro, diede ordine che ogni giorno venisse suonato lo shofar perché il suo suono ammonitore impedisse al popolo di lasciarsi nuovamente fuorviare dal culto pagano. Lo shofar viene oggi suonato nella sinagoga in tre modi diversi: teru’ah (suono staccato e martellante), shevarim (tre brevi emissioni di suoni), teqi’ah (un lungo suono ininterrotto). L’anno del Giubileo aveva inizio nel giorno di Kippur, al termine dei dieci giorni penitenziali ed era annunciato con il suono dello shofar. Era l’anno in cui agli “schiavi” veniva restituita la libertà e in cui le terre che, per un qualsiasi motivo, fossero state vendute durante gli anni precedenti, ritornavano agli antichi proprietari: saggia legge sociale che impediva l’eccessivo arricchimento da una parte, la condanna dell’eterna misera dall’altra. Al suono dello shofar il Signore annuncerà la completa redenzione del suo popolo: “in quel giorno verrà suonato un grande shofar e coloro che erano dispersi nel paese di Assiria, e quelli che erano dispersi nel paese d’Egitto, verranno e si prosterneranno sul monte santo, a Gerusalemme” (Is 27, 13). E’ in base a questa profezia che nella ‘amidah, preghiera che recita tre volte al giorno, si chiede a Dio: “Suona il tuo grande shofar per annunciare la nostra liberazione, e riuniscici dai quattro angoli della terra nella nostra terra”. Secondo alcune tradizioni lo shofar rappresenta inoltre la fiducia nella risurrezione dei morti che sarà anch’essa accompagnata dal suono di questo strumento. E infine anche la redenzione dell’intera umanità, l’Era messianica, secondo la tradizione ebraica sarà annunciata dal suono dello Shofar (cf Is. 18, 3). (1) Usi e tradizioni Tashlikh: “Tu getterai” Nel pomeriggio di Rosh ha-shanah è uso recarsi presso un fiume o al mare, o comunque in un luogo ove ci sia dell’acqua corrente, per gettarvi simbolicamente qualcosa di vecchio, recitando i versi del profeta Michea: “Perché Tu, Dio, getterai nel mare più profondo le nostre colpe” (Mic 7, 19). Tale cerimonia si chiama Tashlikh. Ovviamente, come tutti gli usi entrati nella tradizione di ogni popolo, tale cerimonia non deve essere considerata una specie di superstiziosa liberazione da ogni peccato, ma deve essere interpretata nel suo significato simbolico di impegno personale a rigettare ogni cattivo comportamento. A tavola: il seder di Rosh ha-shanah La sera di Rosh ha-shanah la tavola ha un aspetto particolarmente festoso e colorato. Dopo la consacrazione della solenne ricorrenza con il Kiddush, la challah, il pane preparato appositamente per la festa, oltre che nel sale viene intinta nel miele perché “ci conceda il Signore un anno dolce e piacevole”. Inoltre la sua forma non è allungata, ma rotonda, perché l’anno sia privo di spigoli. Si prepara poi una fruttiera piena di mele e di melograni: le mele vengono intinte nel miele e mangiate dopo il pane, quasi da raddoppiare l’augurio di un anno dolce. In quanto ai melograni, essi non solo rappresentano una primizia di stagione (e ciò è di buon auspicio per l’anno nuovo e permette di aggiungere alla benedizione di ringraziamento a Dio quella delle primizie), ma vengono divisi tra i commensali, i quali si augurano che durante il nuovo anno le buone azioni si moltiplichino come i semi di un melograno. In molte comunità si usa terminare la cena con un dolce fatto col miele. I vari piatti che sono mangiati durante la cena di Rosh ha-shanah sono generalmente composti da: fichi, mela, zucca, finochio, fagiolini, porri, bietola, datteri, melograno, testa d’agnello e di pesce. In sinagoga A Rosh ha-shanah, come anche a Kippur, in sinagoga domina il colore bianco. Bianca è la tenda che copre il luogo ove sono contenuti i rotoli della Torah, bianche sono le “vesti” che coprono i rotoli stessi. Anche coloro che partecipano alla funzione usano indossare un indumento bianco o aggiungere qualche accessorio bianco agli abiti di festa, in quanto il bianco è simbolo di purezza. Numerosi sono gli inni, i salmi e i canti che si recitano in sinagoga in occasione di Rosh ha-shanah. (1) Fonti: (1) Clara ed Elia Kopciowski “Le pietre del tempo, il popolo ebraico e le sue feste” ; (2) Elena Loewenthal “Gli ebrei questi sconosciuti” http://www.comunitaebraicabologna.it/it/?option=com_content&view=article&id=627 http://it.chabad.org/library/article_cdo/aid/6180/jewish/Come-si-Osserva-Rosh-Hashan.htm

sabato 15 gennaio 2011

TU BISHVAT-CAPODANNO DEGLI ALBERI 20 GENNAIO 2011

TU BISHVAT-CAPODANNO DEGLI ALBERI 20 GENNAIO 2011

Tu BiShvat (o Rosh Hashana Lailanot) è una festività anche chiamata Capodanno degli alberi. Il nome della festività significa 15 del mese di Shevat, ovvero il giorno centrale del mese ebraico di Shevat.

Quest'anno 2011 (5771), la festività cade il 20 gennaio (vigilia 19 gennaio).
L’origine di Tu-bishvat

Anche quest’anno, all’inizio dell’estate, dovremo, nostro malgrado, fare la nostra dichiarazione dei redditi. E lo faremo raccogliendo tutta la documentazione di quanto abbiamo guadagnato e speso nell’anno precedente, dal 1 gennaio al 31 dicembre. Ciò che sta prima e dopo queste date non conta. Conta solo l’anno fiscale, che comincia e finisce in momenti precisi.

Per quanto possa sembrare strano, la ricorrenza del Tu-bishvat, 15 del mese di Shevat, è strettamente legata al concetto di anno fiscale. Anche nell’antica società ebraica si pagavano le tasse, e questo certo non sorprende. Il calendario era diviso in cicli di sette anni, e in ogni anno bisognava prelevare una “decima” sul prodotto agricolo. La “prima decima” spettava ogni anno ai Leviti. Sul prodotto che rimaneva dopo il prelievo si applica una seconda decima; nel primo, secondo, quarto e quinto anno questa decima rimaneva al produttore, ma con l’obbligo di consumarla (direttamente o nel suo equivalente valore economico) a Gerusalemme; nel terzo e sesto anno veniva invece versata ai poveri. Si noti per inciso come l’entità di queste tasse fosse molto più modesta di quelle che ci impone uno stato moderno.
Era quindi importante stabilire a quale anno appartenesse un certo prodotto; se ad esempio era del secondo anno, rimaneva al produttore con l’obbligo di portarlo a Gerusalemme, se era dell’anno dopo doveva essere dato ai poveri. Ma come si faceva a valutare se un prodotto era di un certo anno? E ancora: la Torà proibisce di mangiare i frutti prodotti nei primi tre anni di vita di un albero (‘orlà): ma come si calcola l’età di un albero e di un frutto? È necessario stabilire delle date di inizio dell’anno, che sono strettamente legate al ciclo agricolo. Come capodanno per la frutta prodotta dall’albero viene considerato il momento d’inizio della formazione di gemme, dopo la pausa invernale. Ogni frutto che è nato (o che ha iniziato a maturare, secondo alcune opinioni) prima della data stabilita come capodanno, appartiene all’anno precedente, se è nato dopo è dell’anno in corso.
Nel clima della terra d’Israele il capodanno (fiscale) degli alberi è strettamente legato al momento in cui la maggior parte delle precisazioni piovose (che avvengono quasi totalmente in autunno e in inverno) sono passate. La Mishnà (la prima del trattato di Rosh haShanà) indica quali sono i diversi capi d’anno del calendario ebraico e riferisce, a proposito degli alberi, una divergenza tra la scuola di Shammai e quella di Hillel; i primi fissano il capodanno al 1 di Shevat, i secondi al 15. La regola, come sappiamo , segue l’opinione di Hillel, quindi si inizia il 15. Ma se si tratta di una data legata al flusso delle piogge, è difficile capire i motivi del dissenso tra le due scuole. Uno studio recente, basato sui dati attuali di piovosità - che si presume non si discostino molto da quelli di duemila anni fa -, spiega che in Eretz Israel esistono fasce climatiche molto differenti; in tutta la pianura costiera le piogge maggiori terminano alla data fissata da Shammai, mentre nelle colline della Giudea e a Gerusalemme in particolare la data è spostata avanti di 15 giorni. Questo significa in pratica che noi fissiamo il calendario fiscale degli alberi in base al clima di Gerusalemme.
Quando si parla di tasse e ancora di più quando si pagano non si è molto allegri e in linea di principio non si capisce perché, dopo tutto, Tu-bishvat sia diventata una piccola festa. Per questo ci sono diverse spiegazioni. Intanto le tasse non si pagano a Tu-bishvat, ma a raccolto avvenuto; quando si celebra un capodanno, quale che sia, si sta in allegria e non si pensa che è l’inizio e la fine di un anno fiscale, piuttosto ci si augura che il raccolto o il guadagno dell’anno che inizia sia migliore di quello dell’anno precedente.
A parte questo, la storia della celebrazione del Tu-bishvat mostra una certa evoluzione e indica che c’è voluto molto tempo prima che si creassero modi speciali di ricordare e festeggiare questo giorno. Come festa minore è sempre stato un giorno in cui il lavoro è permesso, ma sono proibite alcune manifestazioni di tristezza, come le orazioni funebri o la lettura del tachannun. Ma c’è voluto molto tempo per arrivare a forme di celebrazione attiva, e in questo è stato determinante il contributo dei cabalisti di Safed, nel XVI secolo. L’uso più semplice e antico, probabilmente risalente all’alto medioevo, e ormai diffuso in tutto il mondo, è quello di mangiare in questo giorno frutta di tipi diversi, in particolare i prodotti dell’albero per cui nella Torà è celebrata la Terra d’Israele: uva, fichi, melograni, olive, datteri; oltre a questi altri frutti menzionati nella Bibbia, come mandorle, pistacchi, noci, tappuchim (che nella Bibbia non sono le mele, come si ritiene comunemente e come oggi si indica nell’ebraico moderno, ma sono agrumi), e poi ogni altro tipo di frutto dell’albero.
Un rito vero e proprio, risalente almeno agli inizi del XVIII secolo è documentato per la prima volta nell’opera cabalistica Chemdat Yamim, e consiste in una specie di Seder (o Tikkùn) in cui si alterna il consumo di frutta diversa, in un ordine speciale, e di vino (bianco e rosso), alla lettura e al commento di brani biblici, rabbinici e della letteratura mistica. Questo rito, da tempo dimenticato in Italia, è stato reintrodotto di recente da Rav Shalom Bahbout che ha anche curato la stampa del testo con traduzione italiana e commenti: ne sono uscite già due edizioni, la prima nel 5746 (1986): Seder Tu Bishvat per il Capodanno degli alberi, la seconda (edizioni Lamed) nel 5760 (2000); il nostro pubblico ha accolto con piacere questa reintroduzione e ormai il Seder si fa in molte famiglie.
Altri modi di ricordare questo giorno sono cerimonie di piantagione di alberi; sono iniziate in Eretz Israel nei primi decenni del secolo scorso, come testimonianza di attaccamento alla terra e all’importanza della ripresa della vita agricola, e della riforestazione in particolare. Forse non è stato estraneo un influsso di cultura americana (arbor day), ma in ogni caso hanno avuto la prevalenza nella società ebraica i valori positivi specificamente interni, collegati al rapporto con Eretz Israel, la sua ricostruzione, e l’importanza tradizionale degli alberi, specialmente quelli da frutta. Per educare a questi valori si usa in molti luoghi anche fuori da Eretz Israel di piantare simbolicamente un albero a Tu-bishvat.

I significati simbolici

Ricordando il Tu-bishvat vengono richiamate e sottolineate alcune idee molto importanti nella coscienza ebraica.

Il rapporto con le realtà nascoste: la mistica ebraica parla delle realtà a noi invisibili, che spesso paragona ad un albero, come paragona le diverse forme di frutta (buccia commestibile o no, nucleo duro o morbido ecc.) ai simboli dei mondi diversi. La “buccia” (qelippà) è anche simbolo del male. Per questo i cabalisti propongono un percorso simbolico tra le diverse specie di frutta e i colori del vino, suggerendo un viaggio tra i mondi diversi, tra la Giustizia e la Misericordia, con l’intenzione di contribuire a riparare (tikkùn) il mondo visibile dove viviamo. Sono messaggi e insegnamenti che per essere compresi richiedono conoscenze e sensibilità speciali, ma che non possono essere trascurati nella ricchezza di simboli che questo giorno propone alla comunità ebraica.


Come ricordare Tu-bishvat
Chi lo desidera cerchi il testo del Seder, reperibile in libreria, e lo segua procurandosi tutti gli ingredienti necessari (vini e frutta), o si unisca ad amici che già sono organizzati per farlo.
In ogni caso non si trascuri la tradizione di mangiare frutta di specie diverse, almeno in un pasto della giornata. È importante mangiare e benedire. Quando si mangia frutta, prima si recita la benedizione borè perì ha’etz, (Creatore del frutto dell’albero) che in questo momento assume un significato speciale. La benedizione si recita anche se si mangia frutta durante il pasto, e si è già detto l’hamotzì. Dopo aver mangiato, se il pasto comprendeva il pane, con la birkat hamazon si esce d’obbligo. Chi invece ha mangiato solo frutta recita alla fine una benedizione speciale: ‘al ha’etz we’al perì ha’etz ecc. per uva, fichi, melograno, olive datteri; borè nefashòt per tutte le altre (i testi sono stampati nelle tefillot e nei comuni birkhonim).
Articolo pubblicato dal KKL e scritto da Rav Riccardo Di Segni


http://www.comunitadibologna.it/index.php?option=com_content&task=view&id=322&Itemid=1

lunedì 29 novembre 2010

Quest’anno la festa di Chanukkah viene celebrata dal 2 al 8 dicembre 2010.

Chanukkah o Festa delle Luci ha luogo durante il mese ebraico di Kislev che cade generalmente a Dicembre.
Quest’anno la festa di Chanukkah viene celebrata dal 2 al 8 dicembre 2010.
Il 1 dicembre, viene accesa la prima candela (candles lighting on Dicember 1).


Chanukkah: alle origini della festa

La storia della ricorrenza di Chanukkah è raccontata nel I e II libro dei Maccabei, apocrifo della Bibbia. (…)

Durante il suo regno Alessandro il Macedone, Alessandro Magno, assoggetta prima la Grecia, poi le regioni appartenenti all’impero persiano; rivolge quindi la sua attenzione ai paesi mediterranei, e siccome da sempre la Giudea è una via di primaria importanza fra oriente e occidente sia per il commercio, sia per scopi militari, Alessandro la conquista senza peraltro trovare alcuna resistenza da parte della popolazione dal momento che fino ad allora era stata sotto il dominio persiano.
Le varie provincie dell’impero fondato da Alessandro, pur sottoposte al governo centrale, godono di una notevole autonomia. Il giovane imperatore, innamorato della cultura greca, si adopera a diffonderla presso tutti i popoli sottomessi. E’ lui, infatti, a dare inizio all’epoca che viene definita ellenistica, epoca di grande rinnovamento culturale e artistico, terminata con la conquista della Grecia da parte dell’impero romano.

La tradizione ebraica afferma che Alessandro rimase profondamente colpito anche dalla cultura dei savi di Israele coi quali ebbe frequenti contatti; su questo argomento il Midrash, che sempre su basi storiche, ci fornisce interessantissime testimonianze. Tuttavia numerosi ebrei si lasciarono influenzare dalla cultura greca, dall’ellenismo, giunto all’epoca al culmine del suo splendore.
La civiltà religiosa e sociale ebraica, fondata sulla Torah e sulla letteratura profetica che insegnano monoteismo e l’uguaglianza tra tutti gli uomini, è però radicata e diversa da quella greca che erge i suoi ideali sulla forza e sulla bellezza fisica, suoi valori artistici dell’idolatria. Questa distanza culturale impedisce che l’ellenismo penetri in profondità soprattutto tra la popolazione strettamente legata e fedele agli ideali ebraici.

Alla morte di Alessandro Magno (IV sec. A. Era Cristiana) il regno si smembra e sovrani dei vari stati divengono i diadochi.
Segue un periodo molto confuso di lotte, alla fine delle quali la maggior parte dell’impero di Alessandro viene diviso fra Egitto sotto il dominio dei Lagidi, e Siria, sotto quelli dei Seleucidi.
La Giudea rimane in un primo tempo sotto l’Egitto sul trono del quale si succedono tre re lagidi uno dei quali, Tolomeo II Filadelfo, commissiona la traduzione della Bibbia in greco: fatto di grande rilievo poiché da questo momento la Bibbia che, scritto in ebraico, era praticamente inaccessibile alle culture di lingua diversa, può essere letta e studiata anche dai non ebrei.
Tale lettura esercita una notevole influenza sulle classi più culturalmente preparate e sui filosofi già alla ricerca di una concezione religiosa e sociale diversa da quella dell’epoca: ed è così che tutta la civiltà successiva darà fortemente influenzata sia dalla cultura ellenistica, sia da quella ebraica.

Segue un periodo di lotte fra Lagidi e Seleucidi che si riflettono anche in Giudea con alternarsi di momenti più o meno tranquilli, e infine la Giudea passa sotto il dominio dei Seleucidi.
Antioco III, re di Siria, non esercita un potere troppo oppressivo, ma si arroga il diritto di destituire e nominare i sommi sacerdoti ebrei. Sotto Antioco IV si verificherà una scandalosa lotta di potere tra due personalità ebraiche, che avevano ellenizzato i loro nomi in Giasone e Menelao, lotta che coinvolge moralmente e materialmente tutta la popolazione ebraica.
Molti del popolo in Giudea simpatizzavano invece coi chassidim, gli ebrei ligi alle leggi della Torah, perché ritenevano che l’eccessiva influenza dell’ellenismo sulla cultura ebraica potesse portare all’annullamento della sua identità.

Diviene re Antioco IV che si trova a governare popoli di diverse e non omogenee culture: ritiene di poter ovviare a tale difficile situazione imponendo a tutti, compresi gli ebrei, una totale ellenizzazione che significava anche l’accettazione del culto idolatra.
La cultura ellenistica era penetrata senza difficoltà fra la popolazione ebraica affascinata dall’arte, dall’amore per l’estetica, dalla filosofia greca. I giovani si erano appassionati agli esercizi ginnici e frequentavano con entusiasmo il gymnasium, le palestre.
Ma nessuno dei predecessori di Antioco IV si era intromesso nel credo ideologico ebraico, salvaguardando, almeno agli occhi degli ebrei, la loro stessa libertà civile, sostanzialmente coincidente secondo la loro cultura con la libertà religiosa.

L’obbligo di accettare il culto dei greci che sottintendeva il riconoscimento di tutto il suo pittoresco e variopinto Olimpo, non aveva suscitato alcun risentimento presso i popoli idolatri abituati sempre ad aggiungere con la massima disinvoltura ai propri anche gli dèi dei conquistatori; nella Giudea, invece, questa imposizione suscitò una reazione violentissima soprattutto fra i chassidim, i fedeli, i pii, che, come già detto, avevano sempre guardato all’ellenismo con diffidenza, e inoltre non erano mai stati favorevoli alla dinastia dei Seleucidi che si era troppo immischiata nelle questioni religiose ebraiche.
Ma il potente Antioco IV, che si fa chiamare Epifane, “Dio che si manifesta”, ma che gli ebrei chiamano Epimane, “il pazzo”, non può permettere che un piccolo popolo quale quello degli ebrei resti apertamente fedele a un’ideologia monoteista in aperto contrasto con quella di Stato e completamente diversa da quella degli altri popoli del suo impero.
Di fronte al tenace rifiuto degli ebrei di accettare l’idolatria greca, assume un atteggiamento apertamente persecutorio che mira a colpire il cuore della fede ebraica: il 25 di Kislev fa erigere un altare a Giove sul monte del Tempio, proibisce lo studio della Torah, la pratica della circoncisione, l’osservanza del Sabato e delle feste. I rotoli della Torah vengono bruciati sulle pubbliche piazze. A Gerusalemme viene compiuta una strage fra la popolazione fedele all’ebraismo e costruita una fortezza, l’Acra, presidiata da truppe siriache.
Fra gli ebrei si verificano atti di eroismo: al vecchio Eleazar viene promessa salva la vita purché compia anche solo il gesto di mangiare carne di maiale per dare una dimostrazione al popolo. Eleazar rifiuta e viene ucciso.
Anna, madre di sette figli, li esorta a rifiutare l’imposizione di Antioco di inchinarsi agli idoli, e li invita a proclamare apertamente la loro fede in Dio: i suoi figli vengono torturati e uccisi davanti ai suoi occhi, precedendo di poco la sua stessa sorte.

Ma il popolo ebraico non si arrende: il precetto della circoncisione viene effettuato segretamente, le feste celebrate nell’intimità delle case, la Torah insegnata di nascosto.
Antioco non sopporto la resistenza passiva della popolazione e invia nei vari paesi suoi funzionari a edificare altari su cui far sacrificare agli dèi animali impuri, in particolare maiali, dagli stessi ebrei. Per compiere il sacrificio vengono scelte di proposito eminenti personalità del mondo ebraico. Se rifiutano vengono uccise. Antioco spera che vedendo i loro capi profanare apertamente e pubblicamente il proprio credo, anche la popolazione si arrenda alle imposizioni siriache; se questo tentativo fallisse confida tuttavia di fiaccare la volontà del popolo di fronte al martirio dei capi.
Alcuni funzionari siri giungono a Modi’in, piccola città dove si era rifugiato Mattatià della famiglia degli Asmonei, che era stato il Kohen Gadol, il Sommo Sacerdote.
Anche lì viene edificato un altare e viene imposto a Mattatià di compiere il sacrificio.
Mattatià uccide il funzionare, poi distrugge l’altare.
E’ l’inizio della rivolta.
Mattatià e i suoi cinque figli, Jochanan, Simeone, Giuda, Gionata e Eleazaro, abbandonano Modi’in e si rifugiano sugli impervi monti della Giudea.
La notizia di questo atto di coraggio si diffonde. Una nuova speranza accende gli animi. Intorno a Mattatià e ai suoi figli si riuniscono tutti coloro che, intolleranti dell’oppressione siriaca, scelgono la strada della ribellione per mantenere la propria libertà. Sui monti della Giudea si formano centri di raccolta e rifugi in cui vivere, e organizzare azioni contro i siri.
Giuda, uno dei figli di Mattatià, prende il commando dei ribelli.
Si verifica così la prima guerra partigiana della storia: una guerriglia che non dà tregua alle truppe sire impedendo loro i movimenti tra una città e l’altra, cogliendo di sorpresa e disarmando i drappelli in transito, e mettendo in seria difficoltà tutta la bene organizzata e potente macchina bellica sira.
Gli ebrei combattono all’insegna dell’improvvisazione, ma hanno un’ottima conoscenza del territorio e dei monti, e soprattutto fede e un ideale da difendere.
Per questa tattica di continuo martellamento sul nemico Giuda merita il titolo di Maccabi, da maccab, “martello”, appellativo con cui in seguito vengono designati anche tutti i suoi fratelli conosciuti infatti come i fratelli maccabei.

La guerriglia si trasforma in una vera e propria guerra: l’entusiasmo di Giuda e dei suoi soldati ha spesso la meglio sul potente esercito nemico. Gli attacchi compiuti dagli ebrei sono preceduti da discorsi di Giuda , da preghiere e da digiuni.
Antioco manda nuovi generali e nuovi soldati in Giudea, ma si trova in una difficile situazione politica. Inoltre si sta affacciando sul Mediterraneo una nuova, pericolosa potenza: Roma, che sta combattendole guerre puniche per il predominio del Mediterraneo.
Le vittorie conseguite mettono Giuda in condizione di attaccare Gerusalemme. La fortezza sira, l’Acra, cade; il Tempio viene liberato, ma è necessario riconsacrarlo con l’accensione del Ner Tamid, un lume che non doveva mai, per nessuna ragione, essere spento in quanto testimonianza della vigile presenza e della fede del popolo in Dio.

Ma i siri avevano imperversato nel Tempio rubando e distruggendo tutto ciò che vi era contenuto, perfino l’olio consacrato necessario per riaccendere il lume: in tutto il Tempio viene ritrovata una minuscola ampollina ancora sigillata, ma il suo contenuto potrà garantire luce solo poche ore e per prepararne dell’altro occorrono per lo meno otto giorni!
Nasce una discussione fra i Sacerdoti: bisogna rinviare la consacrazione di otto giorni, o riconsacrare subito il Tempio pur sapendo che l’olio non basterà il tempo necessario a prepararne della’altro e che quindi a un certo punto si spegnerà?
La fede ha il sopravento, il lume viene acceso e il Tempio riconsacrato.
E, racconta il Midrash, accade il miracolo: il poco olio dura otto giorni, e il Ner tamid non si spegne.

Nel trattato Shabbath della Mishnah leggiamo:
Che cosa significa Chanukkah? Quando i greci entrarono nel Tempio profanarono tutto l’olio che vi si trovava, ma quando i re della casa degli Asmonei li sopraffecero e furono vittoriosi, cercarono nel Tempio e trovarono soltanto un’ampollina d’olio con il sigillo del sommo sacerdote che conteneva olio appena sufficiente per un giorno: e accadde un miracolo e durò per otto giorni.

Fu così istituita la festa di Chanukkah, “inaugurazione” e quindi “riconsacrazione”, e i Maestri ritennero giusto che durasse otto giorni, anche in analogia con la ricorrenza di Sukkoth, la più lunga delle ricorrenze sacre stabilite della Torah (cf Lv 23).
Durante questi otto giorni in ogni casa ebraica vengono accese le luci, per perpetuare il ricordo del miracolo dell’olio e celebrare la vittoria della fede.
E’ significativo che le luci siano accese vicino alla finestra perché i passanti le vedano, gioiscano e ne traggano un monito: non solo la vita del prossimo è sacra, ma anche i suoi ideali.

Fonte: Le pietre del tempo di Clara ed Elia Kopciowski


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: gli aspetti storici


La prima versione della storia di Chanukkah può essere trovata nel primo e secondo libro dei Maccabei; questi due libri non fanno parte della Torah, appartengono alla letteratura apocrifa. Da notare che Chanukkah è l’unica festività che non ha fondamenti nella Torah.
In questi due libri, non viene menzionato né la fiala di olio né il miracolo. La festa di Chanukkah dura otto giorni con un’analogia alla festività di Sukkoth. Questo perché i Maccabei non riuscirono a festeggiare Sukkoth perché erano rifugiati nelle montagne. Un’altra ragione è che per consacrare un santuario ci vogliono sette giorni di purificazione, permettendo così una consacrazione l’ottavo giorno. E’ anche legato al fatto che la circoncisione dei bambini maschi si esegue l’ottavo giorno di vita.
Chanukkah viene anche menzionato da Josephus (storico ebreo del primo secolo dopo l’EC). Anche lì, non si parla del miracolo ma la festa viene chiamata “Luce”.
Chanukkah non è neanche menzionato nella Mishnah mentre uno si aspetterebbe di trovare scritte le regole di come si accendono le candele. Chanukkah viene finalmente menzionato nella Gemarra (Shabbat 21b) come la domanda “Che cosa è Chanukkah?” La risposta data parla allora del miracolo dell’olio.
Hannukah fu primo celebrato come ricordo della vittoria dei Maccabei sui Greci. Poi fu celebrato come ri-consacrazione del Tempio (Chanukkah vuole anche dire Consacrazione). Infine fu celebrato per il miracolo dell’olio.
Con il passare del tempo, l’importanza della vittoria dei Maccabei diminuì e per essere sicuri che Chanukkah non sarebbe stato dimenticato, l’enfasi fu messo sul suo senso spirituale e il simbolo della Menorah. Durante il Medioevo, il perché di Chanukkah rimase sul miracolo dell’olio anche se la storia della vittoria deiMaccabei fu ben conosciuta. Questa storia è infatti raccontata nella Meghillat Antiochus insistendo sul martirio degli ebrei (numerosi ebrei preferirono morire che mangiare maiale o inclinarsi davanti ad un idolo). Più avanti ed anche oggi giorno, la festa di Chanukkah è stata influenzata dalla prossimità temporale della festa di Natale ed è consuetudine dare denaro o regali.
E’ da notare che non è la vittoria di Judah Maccabeo e la riconsacrazione del Tempio che portarono indipendenza alla città di Gerusalemme. (la Giudea rimase ancora sotto dominanza siriana). Oltre questo fatto, Chanukkah vuole ricordare la vittoria del debole sul forte.
(Fonte: sintesi dal libro "The Jewish Festival” di Michael Strassfeld)


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: l'ottavo giorno
L’ottavo giorno di Channukah ha un significato particolare come momento culmine della festività.
Il numero 7 rappresenta la settimana, lo Shabbat, gli anni sabbatici, l’omer (7X7).
Il numero 8 che è uguale a 7 +1, è un giorno dopo che le cose furono completate. 8 è quindi oltre il tempo, è l’eternità. L’ottavo giorno è l’essenza di Chanukkah e il ricordo della Luce che è per sempre presente nel mondo.



(Fonte: sintesi dal libro "The Jewish Festival” di Michael Strassfeld)



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domenica 5 settembre 2010

GESU' ETERNO VERGINE


GESU' ETERNO VERGINE




Analisi di Martino Gerber e Giuliano Lattes, studiosi biblisti

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In questi ultimi tempi molti scrivono libri e romanzi dove insistono che Gesù era sposato o che poteva farlo.
La Sacra Bibbia invece ci insegna che Gesù è eterno vergine.

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Nel Vangelo, Gesù ci insegna quale sarà la vita degli eletti che risorti vivranno nel Regno di Dio,
vivranno come gli angeli e non prenderanno moglie o marito;

Luca 20: 34-37

Gesù rispose: "I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito;

ma quelli che sono giudicati degni dell'altro mondo e della risurrezione dai morti, non prendono moglie né marito;

e nemmeno possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, essendo figli della risurrezione, sono figli di Dio.

Ora vediamo che sia gli angeli che gli eletti risorti ,sono figli di Dio, non possono prendere moglie o marito, non possono quindi avere
rapporti sessuali, ma vivono castissimi e purissimi.

Gesù prima di nascere in questo mondo, viveva presso Dio, era il Verbo e il Figlio di Dio;
Giovanni 1: 1
In principio era il Verbo,
il Verbo era presso Dio
e il Verbo era Dio.

Giovanni 1: 14
E il Verbo si fece carne
e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi vedemmo la sua gloria,
gloria come di unigenito dal Padre,
pieno di grazia e di verità.

Quindi Gesù esisteva prima di nascere in questo mondo, e Lui stesso lo insegna;
Giovanni 3: 13
Eppure nessuno è mai salito al cielo, fuorchè il Figlio dell'uomo che è disceso dal cielo.
Giovanni 6: 51
Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo".

Gesù spiega bene la sua preesistenza ;
Giovanni 8: 58

Rispose loro Gesù: "In verità, in verità vi dico: prima che Abramo fosse, Io Sono".

Giovanni 17: 5

E ora, Padre, glorificami davanti a te, con quella gloria che avevo presso di te prima che il mondo fosse.

Giovanni 17: 24

Padre, voglio che anche quelli che mi hai dato siano con me dove sono io, perché contemplino la mia gloria, quella che mi hai dato;
poiché tu mi hai amato prima della creazione del mondo.

Quindi Gesù è Dio e venendo al mondo non può prendere moglie, ma è come un angelo.

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Vediamo che Gesù non nasce da una unione matrimoniale, ma per opera dello Spirito Santo;
Matteo 1: 20-21

Ecco che gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: "Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria,
tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo.

Essa partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati".

Luca 1: 26-35

L'angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazaret,

a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe. La vergine si chiamava Maria.

Entrando da lei, disse: "Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te".

A queste parole ella rimase turbata e si domandava che senso avesse un tale saluto.

L'angelo le disse: "Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio.

Ecco concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù.

Sarà grande e chiamato Figlio dell'Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre

e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine".

Allora Maria disse all'angelo: "Come è possibile? Non conosco uomo".

Le rispose l'angelo: "Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell'Altissimo.
Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio.

Gesù nasce come Dio incarnato, non può prendere moglie, anche se assume la natura umana, conserva la sua natura divina.

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Giovanni il Battista chiama Gesù, l'Agnello di Dio, per indicare la sua purezza e santità;

Giovanni 1: 35-36

Il giorno dopo Giovanni stava ancora là con due dei suoi discepoli

e, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: "Ecco l'agnello di Dio!".

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Gesù fa conoscere la sua natura divina aiu suoi Apostoli,prima ancora della risurrezione, nella trasfigurazione;
Matteo 17: 1-5
Sei giorni dopo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte.

E fu trasfigurato davanti a loro; il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce.

Ed ecco apparvero loro Mosè ed Elia, che conversavano con lui.

Pietro prese allora la parola e disse a Gesù: "Signore, è bello per noi restare qui; se vuoi, farò qui tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia".

Egli stava ancora parlando quando una nuvola luminosa li avvolse con la sua ombra. Ed ecco una voce che diceva:
"Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto. Ascoltatelo".

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Gesù si presentava come la terza persona della Santissima Trinità, Lui è il Fglio di Dio, Dio è suo Padre, e con Essi c'è lo Spirito Santo;

Matteo 3: 16-17

Appena battezzato, Gesù uscì dall'acqua: ed ecco, si aprirono i cieli ed egli vide lo Spirito di Dio scendere come una colomba e venire su di lui.

Ed ecco una voce dal cielo che disse: "Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto".

La Santissima Trinità come la indica Gesù;

Matteo 28: 18-20
E Gesù, avvicinatosi, disse loro: "Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra.

Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo,

insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo".

Quindi Gesù essendo la terza persona della Santissima Trinità non può prendere moglie.

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Gesù ci rivela le sue qualità divine, insegna che è il Pane disceso dal cielo;

Giovanni 6: 51

Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo".

Questo lo spiega bene nell'ultima Cena;
Matteo 26: 26-28
Ora, mentre essi mangiavano, Gesù prese il pane e, pronunziata la benedizione, lo spezzò e lo diede ai discepoli dicendo: "Prendete e mangiate; questo è il mio corpo".

Poi prese il calice e, dopo aver reso grazie, lo diede loro, dicendo: "Bevetene tutti,

perché questo è il mio sangue dell'alleanza, versato per molti, in remissione dei peccati.

Ora il Pane Celeste non può prendere moglie.

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Gesù insegna che Lui è la Luce;
Giovanni 8: 12

Di nuovo Gesù parlò loro: "Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita".

Ora la Luce divina non può prendere moglie.

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Gesù dichiara di essere il Figlio di Dio;
Giovanni 10: 30

Io e il Padre siamo una cosa sola".
Gesù il Figlio di Dio non può prendere moglie.

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Gesù dichiara di essere la risurrezione e la vita;
Giovanni 11: 25

Gesù le disse: "Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà;

Gesù divina risurrezione e vita eterna non può prendere moglie.

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Gesù dichiara essere la via, verità e vita:
Giovanni 14: 6
Gli disse Gesù: "Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me.

Gesù divina via, verità e vita non può prendere moglie.

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Gesù rivela che chi vede Lui vede il Padre;
Giovanni 14: 7-11

Se conoscete me, conoscerete anche il Padre: fin da ora lo conoscete e lo avete veduto".

Gli disse Filippo: "Signore, mostraci il Padre e ci basta".

Gli rispose Gesù: "Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me ha visto il Padre. Come puoi dire: Mostraci il Padre?

Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico da me; ma il Padre che è con me compie le sue opere.

Credetemi: io sono nel Padre e il Padre è in me; se non altro, credetelo per le opere stesse.

Gesù è Dio, quindi non può prendere moglie.

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Gesù quindi visse vergine ed è vergine in eterno. Gesù consiglia anche ai suoi seguaci di rimanere vergini per il Regno dei Cieli;
Matteo 19: 12
Vi sono infatti eunuchi che sono nati così dal ventre della madre; ve ne sono alcuni che sono stati resi eunuchi dagli uomini,
e vi sono altri che si sono fatti eunuchi per il regno dei cieli. Chi può capire, capisca".

Ora se Gesù chiede ai suoi seguaci di rimanere vergini, anche Lui è vergine.

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Anche San Paolo consiglia lo stato verginale ai credenti;


1 Crinzi 7: 7-8

Vorrei che tutti fossero come me; ma ciascuno ha il proprio dono da Dio, chi in un modo, chi in un altro.

Ai non sposati e alle vedove dico: è cosa buona per loro rimanere come sono io;

1 Corinzi 7: 32-34

Io vorrei vedervi senza preoccupazioni: chi non è sposato si preoccupa delle cose del Signore, come possa piacere al Signore;

chi è sposato invece si preoccupa delle cose del mondo, come possa piacere alla moglie,

e si trova diviso! Così la donna non sposata, come la vergine, si preoccupa delle cose del Signore, per essere santa nel corpo e nello spirito;
la donna sposata invece si preoccupa delle cose del mondo, come possa piacere al marito.

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San Paolo imita Gesù, quindi è celibe;
1 Corinzi 11: 1

Fatevi miei imitatori, come io lo sono di Cristo.


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Comunque Gesù ha la sua sposa, la chiesa;

Efesini 5: 21-33

Siate sottomessi gli uni agli altri nel timore di Cristo.

Le mogli siano sottomesse ai mariti come al Signore;

il marito infatti è capo della moglie, come anche Cristo è capo della Chiesa, lui che è il salvatore del suo corpo.

E come la Chiesa sta sottomessa a Cristo, così anche le mogli siano soggette ai loro mariti in tutto.

E voi, mariti, amate le vostre mogli, come Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei,

per renderla santa, purificandola per mezzo del lavacro dell'acqua accompagnato dalla parola,

al fine di farsi comparire davanti la sua Chiesa tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata.

Così anche i mariti hanno il dovere di amare le mogli come il proprio corpo, perché chi ama la propria moglie ama se stesso.

Nessuno mai infatti ha preso in odio la propria carne; al contrario la nutre e la cura, come fa Cristo con la Chiesa,

poiché siamo membra del suo corpo.

Per questo l'uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà alla sua donna e i due formeranno una carne sola.
Questo mistero è grande; lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa!

Quindi anche voi, ciascuno da parte sua, ami la propria moglie come se stesso, e la donna sia rispettosa verso il marito.

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Conclusione: Gesù essendo di natura divina e celeste, era come un angelo, non poteva e non voleva prendere moglie.
Gesù amava la verginità e la consigliava a colororo che potevano per il Regno dei Cieli.
Gesù ci ha insegnato a pregare che venga il Reno dei Cieli, dove tutti gli angeli e gli eletti vivranno santi e puri.

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Citazioni Bibbia

http://www.vatican.va/archive/ITA0001/_INDEX.HTM


https://sites.google.com/site/lesacrescritture/

https://sites.google.com/site/lesacrescritture/Home/gesu-eterno-vergine